Usando i segnali l'animale agisce sul mondo includendo in questo anche i destinatari dei segnali (F. Conativa). Tradizionalmente l'etologia ha privilegiato questa funzione, considerandola l'unica presente nei linguaggi degli animali non umani.
Un esempio i delfini:
Di particolare interesse il mondo acustico fatto di echi, che consente ai delfini di percepire non solo la distanza, ma anche la forma, la grandezza, lo spessore degli oggetti o degli altri esseri viventi che incontra sul suo cammino.
Questi mammiferi sono dotati di un ricchissimo “vocabolario”: oltre a fischiare, grugnire e strillare, riescono a emettere una vasta gamma di suoni percepibili da noi uomini, oltre a emettere ultrasuoni con frequenze troppo elevate per i nostri limitati organi acustici.
Un gruppo di studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ha recentemente provato in questi animali la coesistenza di due tipi diversi di linguaggio, uno per “giocare” e l’altro per “comunicare” con il gruppo.
I delfini parlano, ma con il loro gruppo utilizzano un “dialetto” particolare, che si sviluppa nel corso degli anni e che diventa un veicolo di riconoscimento fra esemplari della stessa comunità.
«I delfini — spiega Massimo Azzali del Cnr — comunicano usando due linguaggi o segnali acustici: i suoni (frequenza 20kHz), detti segnali di vocalizzazioni, e gli ultrasuoni (frequenza tra 20 e 200 kHz), detti segnali sonar o di ecolocalizzazione».
Le due vocalizzazioni sono molto diverse: le prime sono innate e vengono prodotte in occasione di uno specifico evento: in generale riflettono la reazione “emotiva” del delfino a uno stimolo esterno.
Nel corteggiamento, quando hanno paura, quando si arrabbiano, quando sono stressati e in moltissime altre occasioni, questi mammiferi super-intelligenti emettono le frequenze da 20kHz.
Come delle grida spontanee, immediatamente percepibili e affatto difficili da emettere e da essere comprese.
I segnali sonar dai 20 ai 200 kHz invece sono più difficili da imparare e da capire.
«La condivisione delle percezioni/evocazioni che scaturiscono dai segnali sonar — prosegue Azzali — si imparano con il tempo e richiedono che nella comunità si sia formato un linguaggio sonar comune, ovvero una connessione suoni-immagini acustiche che valga per l'intera comunità».
Si può perciò presumere che il linguaggio sonar di un gruppo richieda un lungo periodo di apprendimento da parte dei suoi membri più giovani perché contiene molti elementi tipici ed esclusivi di una comunità.
Ed è per questo che i delfini devono vivere un lungo periodo di apprendimento prima di formare un gruppo con il quale condividere il linguaggio. Un training lento e complicato, che permetta loro di orientarsi nella giungla dei segnali sonar degli altri membri del gruppo in modo da imparare ad ascoltare e a parlare la stessa lingua.
Solo dopo questa lunga fase di apprendimento nascono solidi legami sociali.
«Con le relazioni echi-immagini — precisa Azzali — valide per tutti i membri della comunità, nascono i rapporti sociali. Dai nostri studi risulta che gruppi diversi usino il linguaggio degli echi con modalità diverse».
In ogni caso, tramite l’ecolocalizzazione i delfini sono in grado di comunicare fra loro chiamandosi per nome.
Ma quando inizia l’apprendimento?
Secondo lo studioso del Cnr il cucciolo di delfino comincia ad apprendere il linguaggio sonar addirittura dalla pancia materna «perché i suoni si propagano quasi allo stesso modo nell’oceano e nel corpo della madre».
L’apprendimento continua poi dalla nascita ai quattro anni esclusivamente tramite la madre e poi tramite tutto il resto del gruppo.
Un’ultima curiosità: i delfini dormono galleggiando in superficie e una metà del loro cervello rimane intenta a vigilare.
Nessun commento:
Posta un commento